Perché dovremmo essere contro la guerra? Perché dovremmo indignarci contro l’invasione di uno stato verso un altro, contro la violenza, la prevaricazione di popoli, etnie, individui verso altri? Tutta la storia dell’umanità, ma a ben pensarci tutta la storia della vita sulla terra, è segnata e si è evoluta grazie alla lotta fra specie, razze, individui biologici. Dunque, rispetto a un evento che è sempre accaduto nella storia dell’uomo e oltre, qual è il riferimento assoluto verso cui rivolgersi per stabilire se è cosa giusta o sbagliata?
Il popolo medio si affida all’informazione: eventi, motivazioni, giudizi, condanne, sono serviti pronti ad uso e consumo di tutti, attraverso tv, radio, giornali, internet e il fruttivendolo… Ma perché ci crediamo? Sugli avvenimenti che accadono appena fuori dalla nostra porta sappiamo solo quello che ci dicono i media nazionali, in altri luoghi si giudicano le cose in tutt’altro modo, perché solo la nostra è informazione vera?
C’è, oggi sempre più diffusa, anche un’informazione alternativa, ma proprio perché giudicata alternativa fa ancora poca presa e il popolo medio, nella stragrande maggioranza dei casi, crede ancora solo agli organi di informazione ufficiale, vedi le ultime vicende psico-sanitarie.
Qual è la misura dell’indignazione verso l’ultimo evento russo-ucraino rispetto a quelli del più o meno recente passato, quando gli Stati Uniti, appoggiati dall’Europa, distruggevano Iraq, Afghanistan, Libia…? E rispetto a quelli del nazismo verso il popolo ebreo, dei Savoia verso quello napoletano, degli spagnoli verso gli indios…e via via indietro nel tempo fino a quando il primo animale ne mangiò un altro per sopravvivere?
Certo, uno può dire che le motivazioni sono fondamentali nel giudicare un evento. Motivazioni però che, di nuovo, ci vengono riportate dai media e a cui noi crediamo perché abbiamo fiducia nella nostra informazione. Non lo sappiamo veramente ma ci crediamo. Ma credere o non credere non è forse un atto di fede? Pensiamo dunque, noi popoli dell’occidente europeo, che la nostra fede sia migliore della fede altrui? Non è forse questo nostro, allora, lo stesso atteggiamento oltranzista che critichiamo e temiamo nei popoli di altre fedi e civiltà? Ma c’è un modo, un riferimento assoluto verso cui volgersi per stabilire se una cosa è vera oppure no?
Qualcuno potrebbe infischiarsene di questioni ideologiche, politiche, etniche, ed essere contro guerra e violenza in genere per una questione morale. Allora dovrebbe specificare, a beneficio di tutti e soprattutto di se stesso, il significato effettivo, oggettivo, di parole come coscienza, etica, morale, giustizia, a cui questo qualcuno farà riferimento. Dovrà specificarne sia il significato etimologico sia la coerenza in rapporto all’argomento trattato. Perché se a qualcuno venisse in mente di prendere una posizione effettiva per coscienza, etica, giustizia… e non avesse ben chiaro, non solo il significato letterario di queste parole, coscienza per esempio, ma anche la sua derivazione tangibile, pratica, qualora ne avesse, rispetto a qualcosa di incontrovertibile, allora alimenterebbe e giustificherebbe anche il significato contrario. La parola giusto non è una cosa, e infatti ha il suo contrario; la parola gamba si riferisce a una cosa e solo a quella, che sia di umano, animale o tavolo; non ha contrario, e se mi rompo una gamba è un fatto non certo un’opinione.
Per cui se uno è contro la guerra o la violenza perché la sua coscienza così gli dice, perché “sente” di essere nel giusto, allora il suo “sentire”, se non è una gamba, non solo non può essere più giusto né migliore di quello di un altro che “sente” nel modo opposto, ma del sentire di quell’altro ne legittima l’essere e il di questo l’agire. C’è allora un riferimento assoluto verso cui volgersi per stabilire se una cosa è giusta o sbagliata?
di Tonino Mosconi